Autostrada del sud - Deviazioni #3
Deviazioni è la rubrica di Autostrada del Sud che cambia strada rispetto al solito percorso e parla di libri che mi sono piaciuti e che tengo in un angolo speciale della mia carriera di lettrice, per motivi puramente personali e assolutamente di parte.
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Ho sempre pensato che chi siamo oggi è la somma di una serie di fattori. Il dna, certo. Il modo in cui le cose dovevano andare. Certe scelte al posto di altre. Ma anche alcune persone che abbiamo incontrato e con cui abbiamo condiviso un pezzo di vita, o magari tutta quella vissuta fino ad ora. Gli avvenimenti - felici, traumatici, inaspettati - esplosi davanti a noi, o dentro di noi. Non parlo di momenti semplicemente “speciali”, parlo di pietre angolari, muri portanti, turning points che hanno modificato il nostro modo di essere, di guardare il mondo, di guardare noi stessi. Cose senza le quali avremmo un tassello in meno o uno in più, senza le quali saremmo statə più felici o più tristi, comunque diversə.
Se è così, anche i lettori che siamo devono avere pietre angolari, muri portanti. Non parlo - di nuovo - semplicemente di libri che abbiamo amato. Parlo di libri che hanno cambiato il nostro sguardo, il modo in cui ci muoviamo nel mondo, il modo in cui ci rapportiamo agli altri e ad altre storie. E parlo di persone che a volte quei libri ce li hanno messi in mano.
Ho provato a fare questo gioco, andando a ritroso. Ne ho trovati otto, forse qualcuno l’ho dimenticato. Ho continuato a srotolare.
Sono stata fortunata, ho avuto insegnanti di italiano e di letteratura strepitosə.
Se penso all’università, penso al professor Guido Armellini. Insegnava Letterature comparate e il primo giorno di lezione mi mise in mano Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf e Body Art di Don De Lillo. Poi iniziò a parlare dell’Ariosto e io pensai che ero finita della tana del bianconiglio senza nemmeno l’LSD. Ce ne sono stati altri, negli anni precedenti, durante il liceo e le medie. Eppure è alle elementari che tutto ha avuto inizio.
Ci pensate mai? Sappiamo leggere un libro perché a un certo punto qualcuno, a casa o a scuola, si è messo lì a spiegarci come si scrive una lettera, che suono ha, come si legge, come si legge insieme alle altre.
Può sembrare una banalità, eppure per me non lo è affatto. Prima di saper leggere ascoltiamo le storie dalla voce degli altri (ed è una fase bellissima e sottovalutata, ma per questo servirebbe un’altra puntata). Poi arriva il giorno in cui ci insegnano una cosa che ci porteremo appresso sempre. Che ci rende autonomi in un’attività - la lettura - che prima non potevamo minimamente approcciare da soli.
Il primo giorno di scuola elementare la maestra Monica ci raccontò la storia del trenino Tutù. Era un trenino che non aveva voglia di stare sui binari e fare i soliti percorsi, quindi pigliava e andava a farsi un giro in posti pazzi. Ci disse di disegnare la storia e se non ricordo male io disegnai il trenino Tutù in fondo al mare, con i pesci e le stelle marine e i coralli. La maestra Monica, che a me sembrava grandissima ma facendo un paio di conti doveva avere 24 anni al massimo, stimolò la mia fantasia e mi raccontò un sacco di storie per diversi anni. Il primo libro letto in classe tutti insieme fu Cipì di Mario Lodi (lo so che molti odiano Cipì, io lo amo, sorry not sorry). Ma fu in terza elementare che arrivò la bomba. Arrivò Momo di Michael Ende.
Michael Ende è uno scrittore tedesco famoso principalmente per aver scritto La storia infinita, pubblicato nel 1979 e tradotto in decine di lingue. Ne hanno fatto un film, molto più famoso del libro, uscito nel 1984 e causa di un trauma collettivo di un’intera generazione: il cavallo Artax che muore inghiottito dalle sabbie mobili.
Momo è un libro precedente, pubblicato nel 1973, ed è la storia di una bambina dal passato misterioso - Momo, appunto - che vive sola tra le rovine di un anfiteatro. Viene adottata dagli abitanti della città che si innamorano del suo modo di pensare, del suo mondo interiore e della sua capacità di ascoltare gli altri. Si rivolgono a lei per appianare liti, per capire errori, per trovare soluzione a problemi che appaiono insormontabili.
La quiete viene interrotta dall’arrivo dei Signori Grigi, uomini che si presentano come rappresentanti della Cassa di risparmio del Tempo e che cercano di convincere tutti a risparmiare tempo, appunto, accumulandolo in banca in modo che possa essere loro restituito in futuro con gli interessi (è una bugia, spoiler). La proposta fa presa su tutti gli abitanti, che iniziano a dimenticarsi di sé e degli altri, delle attività piacevoli, della vita comune. Solo Momo non capisce e non si piega a questo nuovo modo di vivere, fatto di lavoro senza sosta e di tempo accumulato che non viene però mai goduto con gli altri. A Momo mancano i suoi amici, e prova a convincerli a ritornare a una vita di condivisione e di felicità, anziché di solitudine e tristezza. Come sempre non voglio raccontare troppo, diciamo solo che se ci riuscirà sarà anche grazie a Cassiopea, una tartaruga magica, e a Mastro Secundus Minutus Hora, l’amministratore del Tempo.
Come ogni favola ha un insegnamento, che ovviamente a ogni età si legge in modo diverso.
Dubito, a otto anni, di averci letto una critica al consumismo dell’epoca presente. Ma è sicuramente un libro che mi fece riflettere.
In classe parlammo del modo in cui Ende decise di nominare i titoli, con immagini sempre contrapposte, dello stupore provato quando Mastro Hora spiega a Momo come i Signori Grigi possano avvelenare il Tempo con il fumo dei loro sigari. Delle Orefiori e del potere di Cassiopea, che può far comparire frasi sul proprio guscio e riesce ad aiutare Momo.
Momo è il mio muro portante più antico, e lo è per due motivi.
Il primo è che è stato uno dei primi libri che mi ha fatto chiedere come si faccia a scrivere una storia, dove si vadano a scovare i fatti, gli avvenimenti, come si inventino e come si mettano insieme, come si possano tenere attaccate a un libro le persone. Il secondo è che è stato uno dei primi libri letto e discusso con altri. A volte in classe ne leggevamo un pezzo per uno. Gli altri seguivamo col dito sulla pagina le parole. Quando la maestra dava il segnale, il testimone passava a qualcun altro. C’era chi leggeva più velocemente, chi faceva più fatica. Nessuno si spazientiva, adattava la propria lettura mentale al ritmo degli altri, aspettava il proprio turno di dettare il ritmo.
Gille Deleuze diceva che la letteratura avviene quando ci sono almeno due persone che parlano di un libro. Se è così, allora Momo è stato uno dei primi momenti in cui ho avuto a che fare con la Letteratura in modo attivo e condiviso, e questa è una cosa che a pensarci mi stringe sempre un po’ il cuore.
La mia copia di Momo delle elementari l’ho regalata tanti anni fa a una persona a cui voglio bene. Ogni tanto le scrivo chiedendole come stia quel libro dalla copertina rossa e rigida tutta rovinata.
“È al sicuro a casa dei miei”, mi risponde sempre.
Non ne ho mai comprata un’altra copia, però mi capita di prenotarla in biblioteca, nelle biblioteche delle città in cui ho vissuto o vivo.
Rileggo il libro, guardo le sottolineature degli altri, mi chiedo in quali mani sia passata quella copia, chi la leggerà dopo di me.
E mi accorgo che come ogni felicità, anche la letteratura aumenta di volume e di bellezza quando è condivisa con gli altri.
(Nota: scopro ora, a due minuti dall’invio di questa puntata, che su Youtube si trova il film integrale Momo, diretto da Johannes Schaaf e uscito nel 1986. Lo trovate QUI)
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Questa era la terza puntata di Deviazioni. Puoi leggere la prima e la seconda QUI e QUI.
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Ci si risente ad aprile, con una nuova puntata di letture, consigli, nuove uscite e interviste.
A presto!
Silvia
L'autostrada disegnata è di Elisa Lipari.