Autostrada del sud - Deviazioni #1

Deviazioni è la rubrica di Autostrada del Sud che cambia strada rispetto al solito percorso. Parlerà di libricini che mi sono piaciuti e che tengo in un angolo speciale della mia carriera di lettrice, per motivi puramente personali e assolutamente di parte.
Inizia oggi, vediamo che direzione prende.
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Nel 1994 uscì nei cinema italiani Sister Act 2 - Più svitata che mai.
È il seguito di una prima parte uscita l'anno precedente, che incassò 231 milioni di dollari al botteghino.
A Sister Act 2 non capita la stessa sorte; ebbe scarso successo di pubblico e critica, incassò poco, non resse il confronto con il fratello maggiore, quasi tutti se ne dimenticarono.
Nel 1994 avevo undici anni e per motivi a me totalmente sconosciuti guardai questo film in un cinema di Rimini. Non ricordo perché fossi a Rimini con mia madre, né perché, in quella che immagino fosse una gita, decidemmo di andare al cinema (non sono mai stata al cinema con mia madre, né prima né dopo di allora).
Ricordo però che in piena pre-adolescenza rimasi affascinata dalla protagonista del film, musona e ribelle, orgogliosa e testarda. Rita Watson era interpretata da una giovane Lauryn Hill e ancora non sapevo che cinque anni anni dopo essere uscita dal quel cinema sarei partita per un'intera estate negli Stati Uniti con il suo album in musicassetta fisso nel walkman, quel gran capolavoro che è "The miseducation of Lauryn Hill" e che ascoltato oggi ha ancora tantissimo da dire.
Se parlo di Sister Act 2 è solo perché allora, nel 1994, anni undici in un paesino di provincia sul lago di Garda, avevo due sogni nel cassetto tra cui non riuscivo a decidermi: volevo diventare una giocatrice di basket professionista oppure una scrittrice.
Mi applicavo poco sia nello sport che nella scrittura, erano sogni dati per scontati, per i quali non credevo di dover combattere. Presto capii che non era così. Capii anche cosa volessi di più, cosa mi facesse palpitare, e anche se probabilmente la memoria mi inganna e le cose non andarono esattamente in questo modo (Borges diceva: "non so se la storia sia vera; quel che conta adesso è che sia stata raccontata e che ci abbiano creduto"; io a questo mio ricordo imperfetto ho sempre creduto) mi sembra che la prima scintilla sia avvenuta in una delle (numerose) visioni successive di Sister Act 2 in VHS.
Facendola breve: Whoopi Golbert interpreta Suor Maria Claretta e viene chiamata da un istituto superiore per salvare le sorti della scuola, sull'orlo del fallimento. Nello specifico diventerà la nuova insegnante di musica di una classe disastrata e ribelle. Rita Watson si scontra con l'insegnante e lascia la scuola con un profondo senso di tradimento da parte dei suoi compagni, che non possono permettersi una bocciatura e che decidono in qualche modo di collaborare. Iniziano a conoscere Suor Maria Claretta e a lavorare con lei, prendendo parte al coro dell'istituto con l'intenzione di partecipare a un concorso nazionale. Dopo varie vicissitudini, Rita vorrebbe tornare, ama la musica più di qualsiasi altra cosa, ma è troppo orgogliosa per farlo e rimane in un limbo di solitudine e rabbia che la tiene bloccata. Suor Maria Claretta l'aspetta allora all'angolo di una strada e le regala un libro, invitandola a leggerlo. È un primo gesto, e diventa un varco per aprire il muro che la ragazza si è costruita attorno.

Il libro in questione è Lettere a un giovane poeta, di Rainer Maria Rilke (Adelphi, traduzione di Leone Traverso). La mia edizione ha orecchie e sottolineature ma nessuna data. È un fatto strano, questo della data mancante, perché scrivo sempre, su ogni libro, il giorno in cui l'ho iniziato. Se credessi in un destino scritto, penserei che sia perché è un libro che avrà sempre qualcosa da dirmi, o perché i sogni non hanno mai una vera data di inizio.
Rainer Maria Rilke è un poeta e scrittore austriaco vissuto a cavallo tra '800 e '900, considerato uno dei più importanti autori di lingua tedesca del suo tempo. Le sue opere più famose sono Elegie duinesi e I quaderni di Malte Laurids Brigge (in Italia pubblicate da diverse case editrici).
Lettere a un giovane poeta è un libricino di pochissime pagine che raccoglie, appunto, le lettere che Rilke scrisse a destinatari diversi in epoche distinte. La prima è quella citata da Whoopi Goldberg quando prova a convincere Rita a tornare a scuola. Un giovane aspirante poeta scrive al maestro Rilke chiedendo cosa deve fare per essere un poeta e allega i suoi versi, chiedendo una valutazione. Rilke risponde così:
Voi domandate se i vostri versi siano buoni. lo domandate a me. L'avete prima domandato ad altri. Li spedite a riviste. Li paragonate con altre poesie e v'inquietate se talune redazioni rifiutano i vostri tentativi. Ora vi prego di abbandonare tutto questo. Voi guardate fuori, verso l'esterno e questo soprattutto voi non dovreste ora fare. Nessuno vi può consigliare o aiutare, nessuno. C'è una sola via. Penetrate in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s'essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore, confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi si negasse di scrivere. Questo anzitutto: domandatevi nell'ora più silenziosa della vostra notte: devo io scrivere? Scavate dentro voi stesso per una profonda risposta. E se questa dovesse suonare consenso (...) allora edificate la vostra vista secondo questa necessità.
Forse è una visione un po' romantica della vita, pensare che basti volere tantissimo una cosa per riuscire a farla, soprattutto nel caso della scrittura. Ovviamente non basta volerlo, servono dedizione, impegno, rigore. Serve essere in grado di affrontare il fallimento, i fantasmi, i rifiuti. Serve leggere tantissimo e serve studiare, lavorare di fino, perché la scrittura, mi pare, ha molto più a che fare con l'artigianato che con l'epifania.
Forse è una visione un po' romantica, dicevo. Ma è esattamente quello che serviva a Rita Watson in quel momento e, in piccolo, era forse quello che serviva a me. Fermarmi (per quanto possibile e per quanto giovane) e chiedermi: cosa ti smuove? cosa ti fa bruciare? E provare ad ascoltare la risposta.
C'è un altro passaggio che amo, in una lettera scritta da Viareggio a un altro giovane poeta. E ha a che fare con la pazienza, con la necessità di maturare. È un passaggio che vado a rileggere quando mi prende una certa smania e ho voglia di buttare tutto all'aria e mi sembra che quello che sto scrivendo sia tremendo, che io stia buttando il mio tempo e che nulla abbia senso nelle pagine che ho davanti. Suona così:
Lasciate ai vostri giudizi il loro proprio sviluppo indisturbato, che - come ogni progresso - deve venire dall'intimo profondo e non può esser da nulla represso o accelerato. Tutto è portare a termine e poi generare. Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe d'un sentimento dentro di sé, nel buio, nell'indicibile, nell'inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l'ora del parto di una nuova chiarezza: questo solo si chiama vivere d'artista: nel comprendere come nel creare.
Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l'albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz'apprensione che l'estate non possa venire. Ché l'estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l'eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d'ogni ansia. Io l'imparo ogni giorno, l'imparo tra dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!
Qualche anno dopo, diciamo un po' più di un decennio, mi sono imbattuta in un altro libricino con un titolo simile e scritto da una delle scrittrici che più amo.
È edito da Archinto ed è a cura di Marina Premoli.

Si intitola Lettera a un giovane poeta, ed è una lettera che Virginia Woolf scrive nel 1932 a John Lehmann, fratello della scrittrice Rosamund. John era collaboratore da circa un anno della Hogarth Press, la casa editrice fondata da Virginia e Leonard Woolf. John inizialmente prova una forma di devozione nei confronti della Woolf e Woolf ricambia con affetto. Ma col tempo i rapporti si incrinano, per motivi che non svelerò.
Quello che è rinchiuso in queste pagine è profondamente diverso da ciò che è presente nelle lettere di Rilke. Non solo perché Rilke non conosceva affatto i suoi interlocutori mentre tra Woolf e Lehmann c'era una certa confidenza. Qui non c'è la distanza del primo caso, anche se c'è il medesimo rispetto reverenziale.
Woolf e Lehmann discutono dello stato della poesia quasi alla pari (anche se noi leggiamo solo la medaglia di Woolf). Dove sta andando, come sta cambiando, com'è il rapporto con il romanzo. Non si trovano sempre d'accordo. A un certo punto compare però un consiglio di Woolf al suo giovane collaboratore:
E ci sono migliaia di voci che profetizzano disperazione. La scienza, dicono, ha reso impossibile la poesia; non c'è poesia nelle automobili, nelle radio. Né abbiamo la religione. Tutto è tumultuoso e transitorio. Pertanto, così dice la gente, non ci può essere rapporto tra il poeta e l'epoca attuale. Questa, è di certo un'assurdità. Sono incidenti superficiali; non vanno neanche lontanamente abbastanza in profondità da distruggere il più radicato e primitivo degli istinti, l'istinto del ritmo. Tutto quello che devi fare adesso è stare alla finestra e lasciare che il tuo senso ritmico si apra e si chiuda, si apra e si chiuda, in modo audace e libero finché una cosa non si fonde in un'altra, finché i tassi non si mettono a ballare con i narcisi, finché da tutti questi frammenti separati non si viene formando un insieme. Sto dicendo assurdità, lo so. Quello che voglio dire è che devi fare appello a tutto il tuo coraggio, esercitare la tua attenzione, invocare tutti i doni che la natura è stata indotta a concederti. Poi lascia che il tuo senso ritmico si snodi tra gli uomini e le donne, tra gli omnibus, i passeri - qualsiasi cosa si presenti lungo la strada - finché non li abbia legati insieme in un tutto armonioso.
A trent'anni di distanza, Rilke e Woolf danno consigli a giovani poeti ed entrambi, tra le innumerevoli cose, ne dicono una che mi ha colpita più di altre: a volte è necessario pazientare, rallentare, ascoltare, non aver fretta. Arriverà il momento in cui le cose si incontrano e trovano un senso. E a me pare una cosa bellissima.
Mi piace credere che questo valga anche al di fuori della scrittura e dell'arte. È un po' quello in cui credo. Rallentare e lavorare a testa bassa.
E quindi nient'altro che questo: mi auguro e vi auguro di aver modo di vedere i tassi ballare con i narcisi.
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Questa era la prima puntata di Deviazioni, la rubrica di Autostrada del Sud che parla di alcuni libri o autori per me speciali.
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Ci si rivede a inizio gennaio con una nuova puntata sui consigli di lettura, i recuperoni e una mini intervista.
Un abbraccio,
Silvia
L'autostrada disegnata è di Elisa Lipari.