Deviazioni è la rubrica di Autostrada del Sud che cambia strada rispetto al solito percorso e parla di libri che mi sono piaciuti e che tengo in un angolo speciale della mia carriera di lettrice, per motivi puramente personali e assolutamente di parte. Usciva senza una cadenza precisa ma vorrei farlo diventare un appuntamento più puntuale, mi azzardo a dire mensile ma rimango umile e dico bimestrale, in cui racconto un libro che ho citato o di cui ho parlato in Tiresia, il podcast che ho ideato, scritto e letto e che parla di letteratura queer. Una produzione Emons Record che potete ascoltare su tutte le piattaforme.
Al piano terra del Moma di New York, quasi invisibile agli occhi di chi passa, è esposta - in due versioni, chiusa e aperta - una pubblicazione di Cassandra Press, una piattaforma educativa ed editoriale gestita da artist3 e fondata da Kendis Williams. A memoria mi pare sia l’unico “oggetto libro” presente in tutto il Moma, quantomeno al momento della mia visita, ad agosto 2022.
La pubblicazione esposta è Venus in Two Act, di Saidiya Hartman, scrittrice e accademica attualmente docente alla Columbia University, i cui studi riguardano principalmente la cultura e storia afroamericane e la schiavitù. In Venus in Two Acts Hartman introduce due concetti: il primo è quello di “violenza dell’archivio”, detto anche “silenzio dell’archivio”, il secondo è quello di “critical fabulation”.
(foto scattata da me medesima)
I due concetti sono l’uno il proseguo dell’altro. Si può dire che la fabulazione critica è quello di cui si serve Hartman per raccontare la violenza dell’archivio. È un metodo, uno stile narrativo, che unisce e mescola la narrazione finzionica alla ricerca archivistica e storica e alla teoria critica. Ed è l’unico modo per riempire il silenzio dell’archivio, i vuoti mai riempiti attraverso la documentazione. Hartman parla soprattutto della mancanza di testimonianze rispetto alla schiavitù e lo fa raccontando di Venus, una donna schiava su una nave britannica sulla rotta atlantica. Ma come si può raccontare qualcosa che non è stato raccontato? Per Hartman ci sono più vie: “«Portando avanti una serie di argomentazioni ipotetiche», «Sfruttando le qualità del congiuntivo», scrivendo la storia «secondo e contro l’archivio», «Immaginando quello che non può essere verificato»”. Il risultato è qualcosa che sì, arricchisce, ma anche che risulta estremamente frustrante in quanto problematizzante nei confronti della verità.
Ho iniziato questa puntata raccontando di Hartman per parlare di Nella casa dei tuoi sogni, non solo perché l’autrice, Carmen Maria Machado, ne parla esplicitamente all’inizio di questo suo memoir uscito nel 2020, ma perché Machado prende il concetto di “Silenzio dell’archivio” e lo fa suo parlando della violenza nelle relazioni tra persone dello stesso sesso e da questo mattone iniziale costruisce tutta la narrazione e la storia che ci mette davanti agli occhi.
Facciamo un passo indietro.
Quando il 2 settembre 2020 in Italia esce Nella casa dei tuoi sogni (Codice Edizioni, trad. Monica Capuani) Carmen Maria Machado ha 34 anni ed è già una scrittrice di successo. Ha conseguito un MFA presso l'Iowa Writers' Workshop, ha pubblicato sulle più importanti riviste americane e ha vinto diversi premi, tra cui il Lambda e il Shirley Jackson Award. Il suo primo libro, la raccolta di racconti dal titolo Il suo corpo e altre feste, è uscita negli Stati Uniti per una piccola casa editrice ed è diventato un libro cult.
Forse in molti si aspettavano un romanzo, invece Nella casa dei tuoi sogni è un memoir che parla di un tema insolito, la violenza nelle relazioni queer. “Insolito” è un termine in parte improprio. Si dovrebbe dire “inesistente” o “nascosto”, perché delle relazioni non eterosessuali violente e tossiche non si parla mai. Per questo Machado parte da Hartman e dal suo Silenzio dell’archivio per fare un percorso simile nel tema che vuole affrontare: creare un archivio nuovo, riempirlo di con una storia - la sua - che possa fungere da punto zero per la creazione di testimonianze e di narrazioni.
Il suo intento è quello di scardinare il silenzio attorno alla violenza nelle relazioni queer, attorno a cui aleggia il mito della relazione perfetta.
Per farlo spezza la sua storia in frammenti, capitoli brevissimi che hanno titoli per come “La casa dei tuoi sogni come la pistola di Cechov”, oppure “La casa dei tuoi sogni come sogni a occhi aperti”, oppure “La casa dei tuoi sogni come cattivi queer”, o ancora “La casa dei tuoi sogni come viaggio on the road per Savannah”. Machado inserisce cioè la sua storia in un contesto più ampio, la sua esperienza priva di archivio in una narrazione che è già conosciuta, traccia una linea tra ignoto e noto, creando ponti, metafore e similitudine per farsi capire e credere, cercando in questo modo di rendere visibile qualcosa che fino a quel momento non era mai stato disegnato.
Machado è bravissima a raccontare la parabola della sua storia d’amore: l’emozione e la passione che si trasformano in violenza, controllo, manipolazione. La felicità che diventa paura, le conversazioni fiume che si accorciano fino alle sillabe, il desiderio che si tramuta in immobilità.
Per avvicinare i lettori e le lettrici alla sua storia, Machado utilizza due escamotage. Il primo è mescolare la sua narrazione a una serie di riferimenti: letterari, musicali, cinefili, pop, proprio per creare un ponte tra una storia mai raccontata e qualcosa di invece continuamente narrato.
La seconda è l’utilizzo della seconda persona singolare.
Tutta la storia è infatti raccontata al Tu, e questo permette a Machado da un lato di staccarsi dalla storia, evitare di impantanarsi del dolore e nei ricordi dell’Io, ma dall’altro di parlarci direttamente, tirarci con un filo in mezzo alla pozzanghera. Dicendo Tu, davanti alla casa dei sogni, in mezzo a una lite furibonda in cui si lanciano oggetti, c’è ogni persona che legge. Nessuno è al riparo, nessuno è al sicuro.
Come ho raccontato nella puntata, Il Tu allontana o avvicina, a seconda di chi è il destinatario ma in entrambi i casi Machado vuole rendere visibile una narrazione che sente essere stata invisibile fino a quel momento agli occhi di tutti.
C’è a mio avviso un’altra cosa estremamente interessante che Machado riesce a fare e trasmettere. Per raccontare il senso di impotenza che ha provato, la volontà di uscire dalla violenza e l’incapacità di farlo, struttura la parte centrale della storia come un libro-game. È il lettore a decidere a quale pagina andare, come far proseguire la storia, a seconda di alcune opzioni che l’autrice mette a disposizione. Solo che ogni opzione porta sempre allo stesso punto, allo stesso risultato, e Machado utilizza il gioco, un esperimento letterario, per trasmettere l’impotenza che ha sentito e vissuto, la sensazione di non avere scelta di fronte alla violenza che stava vivendo.
È in questo modo che Machado getta il primo seme di una narrazione mai narrata prima. Lo fa con quello che ha a disposizione, come una torta fatta con gli ingredienti nel frigo quando il supermercato è chiuso. Con metafore e similitudini, giochi e riferimenti. Sperando che ognuno possa ritrovarvi qualcosa. Il proprio amore perduto, la propria casa dei sogni, la propria forza per andarsene e ricominciare.
Una citazione.
La incontri una sera in mezzo alla settimana, a una cena con un’amica in comune in un diner di Iowa City dove le pareti sono finestre. È sudata, perché è arrivata direttamente dalla palestra, e ha i capelli biondi chiarissimi raccolti in una coda corta. Ha un sorriso smagliante, una voce roca che suona come una carriola trascinata sui sassi. Ogni volta che parla, senti qualcosa precipitarti dentro. Ricorderai pochissimo della cena tranne che, alla fine, vuoi prolungare la serata e quindi ordini un tè, figuriamoci. Lo bevi mentre cerchi di non fissarla, cerchi di essere attraente e disinvolta mentre il desiderio ti si concentra negli arti. Le donne per cui hai preso una sbandata ti sono sempre sfilate davanti fluttuando via, fuori dalla tua portata, ma lei ti tocca il braccio e ti guarda dritto negli occhi, e tu ti senti come una bambina che compra qualcosa con i suoi soldi per la prima volta.
Una curiosità.
Ho intervistato Carmen Maria Machado per il Festival della letteratura di Mantova e il suo Almanacco 2020. Tiresia non esisteva, nemmeno nella mia testa. Chissà se qualcosa è partito proprio da lì.
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A presto,
Silvia