Autostrada del sud - Deviazioni #4
Deviazioni è la rubrica di Autostrada del Sud che cambia strada rispetto al solito percorso e parla di libri che mi sono piaciuti e che tengo in un angolo speciale della mia carriera di lettrice, per motivi puramente personali e assolutamente di parte.
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Qualche tempo fa il mio amico Francesco ha scritto una storia incredibile nella sua Newsletter, Bastonate per posta. È la storia di suo babbo e la potete leggere qui, anche se userò il prossimo paragrafo per raccontarvela brevemente.
In sostanza il babbo del mio amico Francesco è mancato per insufficienza polmonare nel febbraio 2020, quando di Covid in Italia si parlava ancora molto poco e comunque come di una cosa che non ci avrebbe toccati mai. Viveva in una struttura per anziani da alcuni anni e da circa venti aveva iniziato a perdere lucidità. Era un appassionato di musica ma non comprava dischi; ascoltava la radio e registrava i brani su cassetta, si ossessionava per alcune canzoni. Non era cioè un esperto, un appassionato nel senso di conoscitore-della-musica, era un ascoltatore che andava in fissa. Quando Francesco ha dovuto prendere la decisione di far vivere suo babbo in una struttura, il personale gli ha consigliato di portare a casa i suoi effetti personali per evitare che glieli rubassero. Arrivato a casa ha aperto il portafoglio di suo padre, così gonfio da essere tenuto insieme da un elastico, e tra le tante cose presenti al suo interno ci ha trovato una foto tutta piegata di David Bowie.
Il babbo di Francesco, secondo Francesco, non conosceva David Bowie, o comunque lo conosceva solo di nome, di sfuggita, insomma niente che potesse giustificare la presenza di una foto del marziano nel portafoglio di suo babbo. Il resto potete leggerlo al link che vi ho messo sopra, come potrete intuire è una storia pazzesca e fitta di sintomatico mistero.
(Questa foto è presa dalla puntata della NL che il mio amico Francesco ha scritto su suo babbo e su David Bowie)
Stacco.
Qualche anno fa, quando mi è venuto in mente di provare a scrivere delle cose mie, ho pubblicato un racconto abbastanza brutto che si intitola L’estate del 1993. Si trova ancora, online, ma scordatevi che lo linki a quasi seicento persone. Quello che volevo raccontare era un giorno dell’estate dei miei dieci anni che nella mia testa è anche il giorno in cui la mia infanzia è finita. Ero in vacanza a Riccione con mia madre e uscita dalla doccia la vidi piangere di nascosto nel salotto del piccolo appartamento che avevamo affittato sulla riviera romagnola. Fu il giorno in cui mi resi conto che mia madre esisteva prima di me, nonostante me, che c’erano parti della sua vita che non conoscevo e che non sarei mai riuscita a toccare, che non mi riguardavano, che accadevano a lato della mia presenza nel mondo e nella sua vita.
Adesso arriviamo al libro di oggi, grazie per la pazienza.
Se ho parlato del babbo del mio amico Francesco che aveva - non si sa per quale motivo - una foto di David Bowie nel portafoglio e di mia mamma che piangeva - non si sa per quale motivo - ascoltando la musicassetta di Antonello Venditti è perché questo fatto delle vite segrete dei genitori è una cosa che mi affascina molto. In generale è una cosa che mi affascina molto di chiunque, perché se chiudo gli occhi e penso alla persona che mi conosce di più, a cui ho raccontato anche le cose di cui mi vergogno, a cui mi sento di aprire il mio cuore anche quando il mio cuore non è proprio una cosa pulitissima, ecco penso che - se va bene - questa persone conosce il 70% di quello che sono e di chi sono. E lo stesso vale al contrario. Se penso alla persona che credo di conoscere di più, quella che mi basta guardare un secondo negli occhi per capire, se mi va bene credo di conoscere quella persona al 60%. Ognuno di noi decide cosa condividere con gli altri e cosa no, quale pezzo regalare e quale nascondere, ma alla fine solo noi stessi stiamo con noi stessi tutto il tempo in cui viviamo e questa è una cosa che da un lato mi fa sentire tremendamente sola al mondo e dall’altro mi commuove profondamente, perché in qualche modo la scelta di condividere con gli altri acquista un valore luminoso e unico.
Il mese scorso ho letto un breve libro, un gioiello, che parla di un padre e di un figlio, di un mistero, di domande e di una lunga ricerca.
Si intitola Una poesia in tasca, l’ha scritto Héctor Abad Faciolince e in Italia è stato pubblicato da Lindau con la traduzione di Monica Rita Bedana.
Héctor Abad Faciolince è uno scrittore, traduttore e giornalista colombiano nato a Medellín nel 1958. In Italia è uscito per Einaudi il suo romanzo L’oblio che saremo, per Bollati Boringhieri Scarti e per Sellerio un libro di genere incerto, Trattato di culinaria per donne tristi.
Una poesia in tasca racconta del giorno del 1987 in cui il padre dello scrittore, attivista per i diritti umani, medico e professore, viene ucciso dagli squadroni della morte a Medellín, Colombia. Quel pomeriggio, davanti al cadavere, Héctor mette una mano in tasca a suo padre e ci trova una poesia scritta di suo pugno, seguita da tre lettere, JLB, che collega immediatamente a Jorge Luis Borges. Il libro è quello che è successo da quel momento in poi, dell’ossessione che il figlio ha avuto per la storia di quella poesia trovata nella tasca di suo padre il giorno della sua morte. Fin da subito Héctor ha iniziato a parlare di quella vicenda su giornali e riviste, e fin da subito ha iniziato a parlare di quei versi come di versi di Borges. Presto gli fanno però notare che in nessuna antologia del grande scrittore argentino compare quella poesia; né in Obras completas, né in Obra poetica e nemmeno in Textos recobrados. E qui inizia un’altra storia ancora.
Siamo già l’oblio che saremo
la polvere elementare che ci ignora
e che fu il rosso Adamo, che è ora
ogni uomo, e che non vedremo.
Siamo già nella tomba i due termini,
principio e fine. Il feretro,
l’oscena corruzione e il sudario,
le nenie della morte e i suoi rituali.
Non sono l’insensato che s’afferra
al magico suono del suo stesso nome;
penso con speranza a quell’uomo
che non saprà che c’ero, sulla terra.
Sotto l’indifferente blu del cielo
questa meditazione è un sollievo.
(Questo è il testo della poesia trovata in tasca)
Come ci è finita una poesia nella tasca di suo padre il giorno della sua morte? E di chi è, se non è di Jorge Luis Borges?
Forse per Héctor cercare risposte era un modo per non lasciare andare del tutto suo padre, forse era diventata solo una questione di principio, forse era mera curiosità, perché quando a tuo padre non puoi più chiedere qualcosa non puoi far altro che cercare altrove, sperando di trovare quel che cerchi.
Nel caso di Héctor Abad Faciolince anziché arrivare risposte arrivano molte domande e diverse strade che sembrano labirinti.
In questo senso è questa una vicenda molto borgesiana, non solo per le iniziali trovate sotto la poesia. Una cosa sembra in un modo, invece è il suo specchio, o lo specchio del suo specchio, o qualcosa di ancora diverso, che si riflette in qualche modo, che però non è chiaro.
La ricerca parte dalla Colombia e arriva a Parigi passando per la Finlandia e per l’Argentina. Ci sono piste sbagliate, piste giuste che sembrano sbagliate, ci sono fallimenti e finti fallimenti che si rivelano l’opposto. Ci sono angeli custodi, persone che si chiudono in archivi e fanno ricerche, fanno telefonate, provano a smascherare bluff e provano ad azzardare ipotesi di “confabulazione della memoria”, il termine usato in psichiatria per definire l’apparizione del ricordo di esperienze che non in realtà non sono accadute.
Il concetto di Memoria e di come la memoria possa svilupparsi, in quali modi veritieri e menzogneri, è un altro tema che mi sta molto molto molto a cuore e mi affascina tantissimo in letteratura. E in questo libro è un tema che rimane sempre presente in sottofondo, a volte emergendo e a volte ritiraendosi.
Come Borges stesso diceva - e suppongo sia un fatto neurologico della memoria -, ricordiamo le cose non nel modo in cui accaddero, ma nel mondo in cui le abbiamo esposte nel nostro ultimo ricordo, nella nostra ultima maniera di raccontarle. Il racconto sostituisce la memoria e si trasforma in una specie di oblio. Tuttavia, devono essere presenti anche i dati di una memoria precisa. Affiorano, comunque, nuovi particolari. (…) La memoria è così, sovrappone nello stesso spazio ricordi di tempi diversi. Non è un falso, è un particolare di un certo momento nel tempo trasportato a un tempo diverso. (…) Se la vita è un originale, il ricordo è una copia dell’originale e un’annotazione è la copia del ricordo.
A volte alteriamo i ricordi senza saperlo, senza accorgercene. A volte coscientemente. E del resto, esiste davvero una sola verità? O ne esistono di più? Anche in questa storia - che è una storia vera - ci sono ricordi alterati e verità che sembrano moltiplicarsi, che crescono e si sgonfiano ad ondate.
E quando alla fine arrivano le risposte, ci si rende conto di quanto sia importante continuare sempre, sempre, a farsi nuove domande.
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Questa era la quarta puntata di Deviazioni.
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Ci si risente tra qualche settimana, con una nuova puntata di letture, recuperoni, interviste e tutto il resto.
Ciao!
Silvia
L'autostrada disegnata è di Elisa Lipari.