Autostrada del Sud #42 - Tarli
Buongiorno, questa è Autostrada del Sud, la newsletter che ha mangiato troppo e ora via di verdurine al vapore.
Buon 2024! Spero che abbiate passato delle buone feste, circondatx dalle persone che amate e che vi amano. Con quale libro avete iniziato l’anno nuovo?
Io con Sangue negli occhi di Lina Meruane (La nuova frontiera, traduzione di Luca Mariotti), e con Poeta cileno di Alejandro Zambra (Sellerio, traduzione di Maria Nicola) ma anche altre storie di cui vi parlerò prossimamente.
Cose in uscita o da recuperare.
Eliane Brum, Amazzonia. Viaggio al centro del mondo, Sellerio. Traduzione di Vincenzo Barca e Giacomo Falconi.
”«Ho imparato a osservare Altamira per capire ciò che stava accadendo nel mondo – e per prepararmi», scrive Eliane Brum. Il suo libro è una feroce testimonianza, un testo appassionato e trascinante, in cui la voce della scrittrice si mescola a quella dell’attivista politica per gridare l’assoluta urgenza, per l’Amazzonia e per il futuro del pianeta, di prendere misure che invertano le politiche di sfruttamento selvaggio del territorio e di deportazione delle popolazioni dell’Amazzonia, che hanno trovato sostegno durante la presidenza di Luiz Inácio Lula e che si sono consolidate negli anni del governo Bolsonaro, accusato di genocidio, nell’ambiguo disinteresse del mondo intero. Brum racconta la natura e gli elementi, gli animali e le persone, mette in gioco se stessa senza pudori e in un’autoanalisi cruda. Ci narra il suo trasferimento da São Paulo alla città di Altamira, lungo il fiume Xingu, devastata dalla costruzione di una delle dighe più grandi al mondo. Qui inizia a percepire il saccheggio della natura come il saccheggio del suo stesso corpo, a sentirsi parte di una realtà più grande, a identificarsi negli abitanti della foresta, nelle loro lotte, e poi nella foresta stessa, perché l’Amazzonia le salta dentro «come un anaconda che attacca», scompone la sua identità, le cambia il linguaggio, la struttura del pensiero, in un pro-cesso sorprendente. «È importante non sentirsi a proprio agio», scrive. «Ciò che non ci sorprende non ci trasforma». E la sorpresa, fino all’estremo del disagio e della paura, è una delle energie fondamentali che attraversano il suo discorso, che tutto mette in discussione: la possibilità di essere bianchi senza essere violenti, l’ipocrisia dell’economia equa e solidale, la falsità di una produzione ecologicamente sostenibile. È una illuminante testimonianza che edifica un pensiero poetico e politico, e che sancisce con forza e vitalità quanto l’Amazzonia, come realtà e come simbolo, sia essenziale alla continuità e allo sviluppo dell’umanità e del pianeta che la ospita.”
Leonard Michaels, Potendo, li avrei salvati - Tutti i racconti, Racconti edizioni. Traduzione di Luca Briasco e Roberto Serrai.
”Figlio di un barbiere polacco che aveva studiato da rabbino prima di fuggire assieme alla moglie dal Vecchio Mondo per trovare rifugio nel Lower East Side, il piccolo Leonard parla esclusivamente yiddish fino ai cinque anni, quando incomincia a frequentare la scuola e a familiarizzare con ciò che esiste al di fuori dell’appartamento in cui è confinato per via delle frequenti malattie. L’esordio arriverà nel 1969 con Going Places, una raccolta di racconti che esce lo stesso anno di Il lamento di Portnoy di Philip Roth. Entrambi gli scrittori hanno 36 anni e sono al debutto, entrambi i libri riceveranno grandi encomi ma, al contrario del prolifico Roth, Michaels farà passare sei anni prima di tornare sulle scene con un’altra raccolta, intitolata I Would Have Saved Them If I Could. Altri elogi e poi di nuovo un lungo silenzio. Quando gli chiederanno perché aspettare 47 anni per pubblicare il suo primo romanzo, lo scrittore newyorchese risponderà così: «Mi consideravo un artista serio. La short story mi pareva molto più profonda e seria del romanzo, per questo la preferivo. Quando si scrive un racconto non sono permessi errori. È una forma pura, magica».”
Jean Sautière, Corpi mobili, La nuova frontiera. Traduzione di Silvia Turato.
”Corpi mobili è un memoir dalla straordinaria forza evocativa in cui Jane Sautière racconta della sua adolescenza a Phnom Penh, in Cambogia, dove ha vissuto insieme alla sua famiglia dal luglio del 1967 al luglio del 1970, gli anni del liceo. I corpi mobili sono una sorta di ombre, di forme fugaci, di piccoli detriti che si muovono sulla retina e che si fanno metafora dei ricordi e delle persone che hanno fatto parte della vita dell’autrice: i genitori, i fratelli morti prima della sua nascita, i primi amori, ma anche le sensazioni provate in quegli anni, il sapore dei frutti esotici, il caldo, i colori saturi della città, la fauna e le piante locali, il legame profondo con i romanzi di Margerite Duras, il razzismo dei diplomatici, le torture dei khmer, il volto di Bophana. Come nelle opere di Annie Ernaux, anche in Sautière la storia personale incontra quella collettiva e la riflessione si fa a un tempo individuale e universale, lirica e pulsante di vita.”
Patricia Esteban Erlés, Le madri nere, Cencellada. Traduzione si Sara Papini.
”Il convento di Santa Vela è stato costruito dalla sua prima proprietaria con corridoi senza uscita, finestre murate, labirinti e scale che portano a camere chiuse per fuggire da una maledizione. Riconvertito poi in orfanotrofio che accoglie bambine, le suore lo dirigono con una disciplina ferrea fondata sul fanatismo religioso e su una idea ultra rigida del confine tra bene e male. La regola del convento prevede che le orfane, una volta arrivate, vengano private della loro identità, così da trasformarle in un unico gruppo omogeneo in cui è impossibile distinguerle. Perdono infatti il nome, sostituito con quello di una virtù che devono aspirare a raggiungere, vengono rasate e costrette a indossare lo stesso abito grigio. Una delle orfane, Mida, non si è mai sottomessa e semina il caos quando annuncia che dio le ha confessato che non esiste.”
Michele Orti Manara, Cose da fare per farsi del male, Giulio Perrone Editore.
Michele Orti Manara torna in libreria con una nuova raccolta di racconti, cambiando casa editrice e approdando alla romanza Perrone.
”La cassiera di un cinema ossessionata da un doloroso ricordo d’infanzia; l’intimità nascosta tra un cantante rap e il padre; due pappagalli testimoni di una crisi coniugale; una babysitter che nasconde un segreto scomodo; un giovane perseguitato da un’inquietante avventura infantile. I protagonisti dei racconti di Michele Orti Manara sono complessi e variegati, in ognuno di essi si cela un segreto aberrante, una fragilità velata o un desiderio represso. La realtà è intrisa di traumi, ferite e autoinganni, gli ambienti sfumati, quasi impercepibili intorno alle vite narrate. Attraverso la più cruda realtà o la più paradossale fantasia, queste storie ci trasportano nella mente di persone qualsiasi, simili a noi, e a contatto con i loro drammi e le loro incongruenze. La solitudine e la disperazione dell’animo umano porta ognuno dei protagonisti a trovare dei modi – o mondi – alternativi, per sopravvivere.”
Alejandro Zambra, Messaggio per mio figlio, Sellerio. Traduzione di Maria Nicola.
”Un giorno un padre vede nascere il suo bambino; quell’uomo, a sua volta, è un figlio che ripensa al proprio padre, tra avventure, disavventure, gioia e sgomento. L’arrivo di un figlio non solo modifica il presente e il futuro, ma scuote anche le nostre idee sul passato, e accanto ai sentimenti che emergono nel formarsi di una famiglia, la scoperta dell’amore filiale, la paura costante che accompagna ogni gesto e ogni pensiero, tutto questo diventa nella voce di Alejandro Zambra un’opera spericolata e commovente.
La letteratura, in un certo senso, ha sempre a che fare con l’infanzia, perché chi scrive cerca di «ritrovare percezioni cancellate dal presunto apprendimento che ci ha resi tanto spesso infelici». E questo, in un rovesciamento poetico, è invece un libro felice, un «lessico famigliare» nel suo farsi, sin dai primi momenti del narratore con il figlio Silvestre, nel reparto maternità, e indietro nel tempo al primo incontro con la madre del bambino, presagio di un amore incipiente. Seguono scoperte e stupori, i libri illustrati che si leggono ad alta voce per accompagnare il sonno di un bimbo, la meravigliosa libertà di quelle storie, la lezione che uno scrittore scopre nello sguardo di un figlio che in fondo sta insegnando al padre come si legge. E poi la complicata vita di due genitori che lavorano in casa durante il lockdown e si danno il turno per occuparsi del bambino, e l’ironia di proibire al figlio la televisione quando loro invece guardano famelici film e serie televisive di nascosto, non appena il bambino dorme. E ancora il rapporto dimenticato e incompreso con il proprio padre, tra litigi e gesti di protezione, strappi e riconciliazioni, mentre quel padre diventa inesorabilmente un nonno, il nonno del nostro bambino. Riflessivo e al tempo stesso umoristico, Messaggio per mio figlio si pone delle domande semplici, universali, sempre sorprendenti. «Come spettatori che hanno perso i primi minuti del film ma rimangono allo spettacolo successivo per capire la trama, dimentichiamo proprio la parte dell’infanzia che poi osserviamo nei nostri figli; sono loro a ricordarci quello che abbiamo dimenticato».”
Diagonali
Diagonali era una rubrica di Finzioni Magazine per cui scrivevo ogni tanto. Metteva in relazione due cose, due libri, che in apparenza potevano apparire distanti ma che avevano punti in comune, punti che si intersecavano più volte.
Ecco la prima novità di questo 2024. In ogni numero parlerò di due libri. Lo farò senza entrare troppo nella trama - non vorrei togliervi la voglia di leggerli qualora non lo abbiate ancora fatto - ma abbastanza da capire come due storie diverse possano parlarsi.
Fernanda Melchor è messicana, Layla Martinez spagnola. Entrambe sono nate negli anni ‘80 (Melchor nell’82, Martinez nell’87), entrambe hanno scritto due storie rabbiose, due storie in cui il divario sociale e di classe e la violenza di genere entrano a gamba tesa nei loro romanzi. Melchor lo fa nel ricco quartiere Paradais, Martinez nella casa delle protagoniste, che ricorda il castello di Shirley Jackson, ma solo per la paura che evoca.
Un po’ di ordine.
Páradais è un quartiere ricco di Progreso. Ville e villette, auto lussuose, famiglie benestanti che prendono il sole in piscina, giardini all’inglese. Polo è un ragazzino svogliato, che vorrebbe andarsene, anche a costo di entrare nei traffici illeciti del cugino maggiore. La madre lo fa assumere da una società come tuttofare per il quartiere Páradais. Tagliare l’erba, pulire la piscina, badare all’ordine e al decoro tanto cari a chi ci vive. È qui che incontra Franco Andrade, un ragazzino sovrappeso e con una dubbia igiene personale con un’ossessione sessuale che sfocia nel patologico nei confronti di una donna che vive proprio a Páradais. Polo si sorbisce i suoi piani per conquistarla, i suoi racconti su come la possederà, su come si farà notare. Lo fa solo per poter avere accesso ad alcool e sigarette, per godersi i momenti di pausa dal lavoro faticoso. Tutto quello che vuole è in realtà andarsene: dalla madre che lo obbliga a un lavoro onesto ma sottopagato, dalla cugina (incinta, non è dato sapere di chi) che vive con loro, in generale da una vita in cui lui non vede vie d’uscita, modi per migliorare e fare un salto in avanti. Il suo piano si incontra con quello di Franco, diverso eppure con punti di incontro, dando vita a una serie di eventi violenti che sembrano non potersi arrestare ma solo esplodere in fila.
Il Tarlo è la tipica storia che mi ha preso fin da subito. Ha echi di realismo magico e di mistero: Rulfo che incontra Dávila che incontra Márquez, con le dovute proporzioni, ovviamente. Le voci sono due, quella di una nonna e di una nipote. Entrambe vivono in una casa piena di ombre, dove vivi e morti parlano, camminano, esternano i loro desideri e, soprattutto, covano rabbia e rancore, hanno - appunto - un tarlo che li consuma.
Quello che si sa è che la nipote è stata arrestata per la sparizione di un bambino a cui faceva la baby-sitter. Non è subito chiaro se il bambino sia scomparso o sia stato ucciso, se lei sia veramente colpevole oppure no. I capitoli si alternano con le due voci: la nonna che racconta la storia della loro casa, da cui le donne non riescono mai ad andarsene e dove la vita gli uomini viene consumata ma anche la storia di una famiglia, fatta di rancori verso gli uomini violenti e verso le famiglie ricche che sfruttano gli oppressi; la nipote
In entrambi i libri l’odio verso la propria condizione si scontra con l’odio verso chi sta meglio. Sia ricchi che poveri provano ribrezzo verso l’altro da sé ma anche, in qualche modo, odio verso se stessi, verso la propria condizione senza via d’uscita.
In Páradais la storia è narrata da una terza voce, molto vicina ai fatti accaduti, ne Il tarlo le voci sono due, sempre femminili. Nel primo il ritmo è sincopato, nel secondo più fluido, in entrambi i casi parlato, a volte in flussi di coscienza che partono da un punto e arrivano in un posto molto più lontano. Páradais non è una di quelle storie che mi hanno fatta innamorare, ma è sicuramente un libro che mi è rimasto dentro “a rilascio graduale”. Anche dopo mesi penso ai rapporti di potere tra i vari personaggi, a come cambiano e assumano forme diverse, tra generi, tra classi, persino tra i protagonisti con sé stessi.
Ne Il Tarlo succede qualcosa di molto simile. Gli uomini violenti vengono puniti con la rabbia delle donne della casa delle ombre, ma la violenza sfocia anche in altri modi: da chi sfrutta verso chi subisce, da chi subisce verso chi sfrutta, oppure in orizzontale: tra la nonna e la nipote che vivono in modo diverso il desiderio di migliorare la propria vita, chi scendendo anche a compromessi per poterlo fare, chi no.
È stato quella notte che ho capito tutto, che mi è diventato tutto chiaro in testa mentre me ne stavo distesa sul letto. La vecchia aveva sempre creduto che l’odio dei Jarabo era una faida tra famiglie di quelle che si incistano senza fare mai la crosta ma non era vero. I Jarabo non erano peggio di tutti quelli come loro e non ci odiavano più di quanto odiano tutti quelli come noi. Con la vecchia se l’erano legata al dito per fatture, perché grazie a quelle tutto il paese credeva che potevano mandargli sciagure impunemente, che potevano sgusciare nottetempo attraverso la boscaglia fino a questa casa in mezzo al nulla in mezzo al niente per andare a preparare qualcosa di brutto al signore al padrone al datore di lavoro e farla franca. Ma ci odiano tutti quanti allo stesso modo gli facciamo tutti schifo allo stesso modo e quel disgusto ci entra dentro e ci avvelena e ce l’abbiamo piantato così in fondo che alla fine pensiamo che è nostro ma non lo è.
(…) e adesso pedalando per raggiungere il quartiere esclusivo Páradais, dal maledetto giorno in cui sua madre lo aveva trascinato negli uffici della compagnia Immobiliare del Golfo, a scrivere il suo nome sul contratto che quell’imbecille succ___azzi di Urquiza gli aveva messo davanti, dove si stipulava che da quel momento Leopoldo García Chaparro veniva assunto come giardiniere del complesso residenziale Paradise; vediamo, ripetilo: Páradais. E il neoassunto era stato tentato di rispondere: Páradais la tr__a che ti ha messo al mondo, stronzetto rott__ulo, ma non si era azzardato a dire una parola con sua madre di fianco. (…) Prima lo firmi e poi lo leggi, non puoi far perdere tempo all’ingegnere. E a Polo non era rimasta altra scelta che firmare quella fregatura, con il sospetto di essersi venduto l’anima al diavolo.
(scusate le omissioni manco fossimo in chiesa, ma questa NL non è stata flaggata come NL con contenuti sensibili e ci manca solo che mi blocchino la piattaforma)
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Varie ed eventuali
Un editore ha cancellato dal suo piano editoriale l’uscita di un libro dopo che l’autrice ha ammesso di aver riempito di recensioni negative libri “concorrenti al suo” su Goodreads. Una storia abbastanza allucinante, sul Guardian.
Una recensione di Valeria Luiselli a Pedro Paramo di Juan Rulfo. Sul NYT.
Un’intervista di bell hooks (!!!) a Lil’ Kim (!!!). (Grazie della dritta, Eloisa).
“‘All feminists are under attack’: ultra-right threat in Milei’s Argentina forces writer into exile”. Un pezzo sul Guardian, via Senza Rossetto.
Perché ci si sposa (un pezzo di Ilaria Gaspari sul Post).
Andrea Long Chu su Zadie Smith (non l’apprezza, ma mi chiedo: cosa apprezza Andrea Long Chu?)
Una mostra al PAC fino all’11 febbraio.
The Complicated Afterlives of Roberto Bolaño. Su Lithub.
Cinque domande a…
(Foto di Vanessa Vettorello).
Francesco Guglieri è Responsabile della saggistica di approfondimento in Einaudi. Lo conosco da qualche anno (dieci? Meglio non pensarci) e tramite i suoi articoli e i suoi tweet mi ha fatto comprare più di qualche dozzina di libri. Insomma è una persona del cui gusto mi fido molto e lo ringrazio per aver risposto alle cinque domande di Autostrada del Sud.
1. Qual è il ricordo più bello che hai in Einaudi?
Sono così tanti e i più belli sono così preziosi che non riesco a dirli a voce alta nemmeno da solo.
2. Qual è il libro pubblicato dalla casa editrice per cui lavori che ami di più? E perché?
Sono tantissimi, ogni tanto ho provato a fare un conteggio almeno a grandi linee dei libri che mi sono passati per le mani a vario titolo, ma i numeri che venivano fuori mi spaventavano al punto che preferisco non saperlo con esattezza. E per tutti, molti almeno, di sicuro la maggior parte, c'è un ricordo, si è creato un legame: perché è totalizzante il tempo – limitato – durante il quale lavori su quel libro, perché sono profondi e a volte misteriosi i motivi che ti hanno spinto a sceglierlo o quantomeno a caldeggiarlo, perché molto spesso ti hanno fatto incontrare o conoscere una persona con cui quel contatto è rimasto (l'autore, un collega, una traduttrice, una lettrice). Dovendo sceglierne uno, ne sceglierò tre – anzi quattro. Shirley Hazzard, Il transito di Venere: un incontro con un congegno narrativo e sentimentale dirompente, ne ho anche scritto. Patrimonio di Philip Roth, perché lo rivedevo con gli occhi pieni di lacrime. Il libro nero e Il museo dell'innocenza di Pamuk: libri che non avrei forse mai letto se non li avessi incontrati lavorando in Einaudi, Il libro nero in particolare fu tra i primi romanzi di cui mi occupai: mi fecero scoprire più che un autore, un'atmosfera che, pur lontana, lontanissima dalla mia esperienza, ho riconosciuto come mia: una Istanbul nebbiosa, invernale, solitaria e malinconica come la Torino dei miei vent'anni.
3. Qual è il primo ricordo che hai con la lettura e/o con un libro?
Come in un racconto o in una seduta di analisi, c'è un ricordo inaccessibile. Ho questa vaga memoria di un libro, credo regalatomi quando avevo otto anni, strano, un racconto filosofico, mi sa addirittura della filosofia pre-socratica (?!) per bambini, una sorta di Alice nel mondo di Eraclito, con delle bellissime illustrazioni che riproducevano le stampe ottocentesche, in bianco e nero. Da anni sto rovistando negli archivi della memoria e delle biblioteche per ritrovarlo. A volte mi viene in mente di averlo inventato, di essermelo sognato, che sia un falso ricordo. A volte mi capita di leggere in sogno, ricordando la mattina dopo quello che c'era scritto sulla pagina.
4. Che libro stai leggendo in questo momento?
Le Lettere a Chichita (Mondadori) che Italo Calvino scrisse a Esther Judith Singer, detta Chichita, tra il 1962 e il 1963 (si sposeranno l'anno successivo, nel 1964). Un libro delizioso, davvero una scoperta, di un Calvino sentimentale, addirittura sensuale, innamorato, felice.
5. La tua libreria sta andando a fuoco e puoi salvare un solo libro per portarlo con te. Raccontaci quale e perché.
L'uomo che dorme, di Georges Perec. Perché dentro c'è questa frase: «Non hai imparato niente, tranne che la solitudine non insegna niente, che l’indifferenza non insegna niente: era un’impostura, una fascinosa e ingannevole illusione».
Una parola.
Tamarro, [ta-màr-ro]. Giovane rozzo che segue la moda in maniera vistosa e volgare. Dall’arabo [tammar] ‘venditore di datteri’, da [tamr], ‘dattero’.
Un link.
L’albero delle lingue (via Una cosa al giorno)
Un disco.
Questa puntata è stata scritta ascoltando Lil Boat 3.5 di Lil Yathci.
Anche questa volta abbiamo finito.
Grazie per aver letto fino a qui.
Se avete bisogno di contattarmi, potete rispondere a questa mail oppure mi trovate online come silviacardinale (Twitter) o silviapelizzari_ (IG e Thread).
Ci risentiamo a marzo con nuovi libri e nuove chiacchiere.
Un abbraccio,
Silvia